Di recente ho letto
Cecità di Josè Saramago, romanzo che fregandosene delle "regole" riesce a ipnotizzare il lettore dalla prima riga all'ultima. Sulla copertina della mia edizione Feltrinelli, una donna, l'unica colorata, conduce una fila di persone cieche, disegnate in nero. Ecco, Saramago vi prende per mano e vi conduce dove vuole, irresistibile come un pifferaio magico di cui non riuscite a comprendere le intenzioni: lo seguite e basta, perché non potete farne a meno.
E Saramago vi porta in una città senza nome dove, a poco a poco, tutti diventano ciechi, di colpo, in maniera inspiegabile; unica eccezione una donna, appunto, testimone di un crollo rapidissimo e inesorabile della civiltà. Prima la paura e le prepotenze di chi ancora vede sui ciechi impotenti, poi la lotta fratricida tra persone ugualmente colpite dalla disgrazia, la lotta, la fuga... Non sto a raccontarvi di più: leggete, se avete lo stomaco forte. Le pagine scorreranno senza che nemmeno ve ne accorgiate.
Cecità mi ha fatto pensare a un altro romanzo, letto molto tempo prima,
La strada di Cormack McCarthy. Postapocalittico che dipinge un mondo totalmente in toni di grigio, morente quanto i resti dell'umanità che lo popolano. Senza nome il protagonista, che è solo un uomo e un padre - come senza nome sono tutti i personaggi di Saramago: la moglie del medico, il primo cieco, la ragazza con gli occhiali scuri e così via - e si dibatte nel tentativo disperato e assurdo di provvedere al proprio figlio e trovare il modo di portarlo al sicuro prima che lui, malato, muoia. Se Saramago ci porta nella mente di tutti i suoi personaggi, qui la prospettiva è quella del protagonista, indurito dal presente e preda dei ricordi di un mondo felice che suo figlio non conoscerà mai davvero. E come in Saramago, la lotta per la sopravvivenza porta ad azioni spaventose, all'abbruttimento, a scrostare in quattro e quattr'otto quella sottile patina di civiltà di cui ci ammantiamo e che si rivela più effimera di un'abbronzatura estiva in autunno.
Parlano del mondo di un possibile domani, Saramago e McCarthy, ma non serve guarire dalla cecità né affrontare un collasso planetario per vedere come quel mondo di domani sia esattamente lo stesso in cui ci muoviamo oggi: basta poco a scordarsi le conquiste di una civiltà ostinata ma fragile, che oppone le parole alle armi, le mani tese ai cancelli chiusi. E non riesco a chiudere con una nota ottimista, perché anche l'ottimismo del "non potrebbe mai succedere" è una forma di cecità. No, preferisco chiudere ricordandovi di affilare la mente e le parole, perché quando tutto intorno la patina di civiltà si assottiglia occorre ricordare come si fa a lottare per difenderla.